Luigi Borbone e l’Arte del Sogno
Luigi Borbone, uno stilista, ma
prima di tutto un amico.
Impossibile non ricordare la nostra
prima intervista quando, vestita di tutto punto, andai all’inaugurazione del
suo atelier di S. Giovanni il giorno prima dell’evento.
Rimasi stupita nel constatare che
non c’era nessuno; per la prima e unica volta in vita mia ero veramente in anticipo.
Troppo!
Approfittai, così, per fare
un’accuratissima intervista e soprattutto per provare le sue magnifiche
giacche.
Ecco, mi soffermo su questo punto,
perché non è un dettaglio: le sue Giacche.
La giacca di Luigi Borbone è un
elemento vivo che prende forma sul corpo interpretandolo; è ponte tra la
dimensione dell’essere e quella dell’apparire.
La giacca, come vezzo, diviene
elemento di dialogo tra una donna e la sua immagine: la porta del desiderio tra
quello che si è e quello che si vuole giocare ad essere.
Inizia per Luigi una nuova sfida,
lasciandosi alle spalle l’esperienza del pret-a- porter.
Allora, si ricomincia con
AltaRoma quest’inverno?
“Si”.
Dove sfilerai?
“E’ una sorpresa, sicuramente non in
S. Spirito in Sassia.”
Quanti capi?
“Venti o trenta pezzi.”
Cosa è cambiato?
“Tante cose: intanto ho capito che
sono portato per l’aspetto umano tra il couturier e il cliente. La mia stessa mano è
più vicina alla couture piuttosto che ad una visione commerciale.
In questo momento il mondo propende
più per il prodotto commerciale, ma
io sono un sognatore e voglio proporre il sogno.
In questo periodo di transizione in
cui ho vagato tra Roma e Milano mi si sono aperti gli occhi e ho compreso quale
deve essere il mio prodotto, la mia cifra stilistica.”
Quale?
“Il capospalla.
Voglio essere un Armani con una
visione più giovanile e più sartoriale.
Le donne hanno bisogno di un
prodotto “giornaliero” che abbia il suo fascino ma che sia per uso diurno
e quotidiano.
Nasce da qui il confronto con Armani:
dall’idea di una donna vestita con una linea maschile ma femminilizzata, che è
sempre molto sexy.
A gennaio, per AltaRoma, presenterò
proprio questo gioco di polarità tra abito giornaliero e abito serale.”
Da cosa nasce la Collezione?
“Sicuramente il mio essere
architetto incide molto sul mio modo di vedere l’abito.
Il mio stile è fatto di linee
pulite, è geometrico, animato da giochi di materiali particolari.
Quest’anno ho fatto nascere una
partnership con la Swarovsky che sponsorizzerà alcuni miei abiti. Uniremo i
nostri geni creativi.”
I colori?
“Dominerà il bianco, perché sarà la
collezione P/E e l’estate il bianco piace da morire.
Ci sarà del beige tendente all’oro,
con un mix multietnico di sapori e stili che viaggiano dall’indiano
all’africano.
Infine, ci sarà il grigio perla con
dei celesti particolari e degli argenti.”
Arte, moda e architettura sono
sempre presenti nella tua couture. Che parola aggiungeresti?
“Artigianato.
Sto lavorando molto
sull’artigianalità, in particolar modo con delle lavorazioni, estremamente
raffinate, realizzate all’uncinetto in cotone finissimo.
Voglio riempirmi dell’assenza del
Made in Italy, perché l’alta moda è artigianalità; la spettacolarizzazione
viene dopo.
Quello che va preservato dell’alta
moda è il sogno e la manualità: i tagli devono essere contemporanei, ma nel
rispetto del classicismo.
E’ questo che rende un capo unico.
Quando viene una cliente ti affida
la sua immagine pur vedendo solo un disegno, si fida di te e tu devi renderla
la più bella di tutte.”
Definisciti.
“Questa è la domanda più cattiva e
più difficile.
“L’ozio è un lavoro e il lavoro è un
riposo.””
Ma è tua questa frase?
“Si, si, mi è venuta così, proprio
ora.”
Cosa pensi del fashion system?
“Spietato! E mi ci metto anch’io nel
pacchetto. E’ facile dire che gli altri sono cattivi, ma pur non volendo
sicuramente lo sono anch’io.
Non sono mondano, non mi piace molto
presenziare agli eventi, li vivo come parte del mio lavoro e non come vita
reale.
Quando crei il tuo spazio il fashion
system devi saperlo vivere come un’opportunità. E’ una sfaccettatura del mondo
che si sceglie.”