martedì 26 novembre 2013

Luigi Borbone e l’Arte del Sogno


Luigi Borbone e l’Arte del Sogno



Luigi Borbone, uno stilista, ma prima di tutto un amico.

Impossibile non ricordare la nostra prima intervista quando, vestita di tutto punto, andai all’inaugurazione del suo atelier di S. Giovanni il giorno prima dell’evento.

Rimasi stupita nel constatare che non c’era nessuno; per la prima e unica volta in vita mia ero veramente in anticipo. Troppo!

Approfittai, così, per fare un’accuratissima intervista e soprattutto per provare le sue magnifiche giacche.

Ecco, mi soffermo su questo punto, perché non è un dettaglio: le sue Giacche.

La giacca di Luigi Borbone è un elemento vivo che prende forma sul corpo interpretandolo; è ponte tra la dimensione dell’essere e quella dell’apparire.


La giacca, come vezzo, diviene elemento di dialogo tra una donna e la sua immagine: la porta del desiderio tra quello che si è e quello che si vuole giocare ad essere.

Inizia per Luigi una nuova sfida, lasciandosi alle spalle l’esperienza del pret-a- porter.

 

Allora, si ricomincia con AltaRoma quest’inverno?
“Si”.
Dove sfilerai?
“E’ una sorpresa, sicuramente non in S. Spirito in Sassia.”
Quanti capi?
“Venti o trenta pezzi.”
Cosa è cambiato?
“Tante cose: intanto ho capito che sono portato per l’aspetto umano tra il couturier e il cliente. La mia stessa mano è più vicina alla couture piuttosto che ad una visione commerciale.
In questo momento il mondo propende più per il prodotto commerciale, ma  io sono un sognatore e voglio proporre il sogno.
In questo periodo di transizione in cui ho vagato tra Roma e Milano mi si sono aperti gli occhi e ho compreso quale deve essere il mio prodotto, la mia cifra stilistica.”
Quale?
“Il capospalla.
Voglio essere un Armani con una visione più giovanile e più sartoriale.

Le donne hanno bisogno di un prodotto “giornaliero” che abbia il suo fascino ma che sia per uso diurno e  quotidiano.
Nasce da qui il confronto con Armani: dall’idea di una donna vestita con una linea maschile ma femminilizzata, che è sempre molto sexy.
A gennaio, per AltaRoma, presenterò proprio questo gioco di polarità tra abito giornaliero e abito serale.”

 

Da cosa nasce la Collezione?
“Sicuramente il mio essere architetto incide molto sul mio modo di vedere l’abito.
Il mio stile è fatto di linee pulite, è geometrico, animato da giochi di materiali particolari.
Quest’anno ho fatto nascere una partnership con la Swarovsky che sponsorizzerà alcuni miei abiti. Uniremo i nostri geni creativi.”
I colori?
“Dominerà il bianco, perché sarà la collezione P/E e l’estate il bianco piace da morire.
Ci sarà del beige tendente all’oro, con un mix multietnico di sapori e stili che viaggiano dall’indiano all’africano.
Infine, ci sarà il grigio perla con dei celesti particolari e degli argenti.”

 

Arte, moda e architettura sono sempre presenti nella tua couture. Che parola aggiungeresti?
“Artigianato.
Sto lavorando molto sull’artigianalità, in particolar modo con delle lavorazioni, estremamente raffinate, realizzate all’uncinetto in cotone finissimo.
Voglio riempirmi dell’assenza del Made in Italy, perché l’alta moda è artigianalità; la spettacolarizzazione viene dopo.
Quello che va preservato dell’alta moda è il sogno e la manualità: i tagli devono essere contemporanei, ma nel rispetto del classicismo.
E’ questo che rende un capo unico.
Quando viene una cliente ti affida la sua immagine pur vedendo solo un disegno, si fida di te e tu devi renderla la più bella di tutte.”



Definisciti.
“Questa è la domanda più cattiva e più difficile.
“L’ozio è un lavoro e il lavoro è un riposo.””
Ma è tua questa frase?
“Si, si, mi è venuta così, proprio ora.”
Cosa pensi del fashion system?
“Spietato! E mi ci metto anch’io nel pacchetto. E’ facile dire che gli altri sono cattivi, ma pur non volendo sicuramente lo sono anch’io.
Non sono mondano, non mi piace molto presenziare agli eventi, li vivo come parte del mio lavoro e non come vita reale.
Quando crei il tuo spazio il fashion system devi saperlo vivere come un’opportunità. E’ una sfaccettatura del mondo che si sceglie.”


giovedì 14 novembre 2013

Un’unica bevanda infiniti significati


 

E’ al nettare degli dei che è dedicata la mostra che ha inaugurato in questi giorni al Vittoriano.
Fil-rouge della nostra tradizione mediterranea, il vino è molto più di una semplice bevanda, è momento di piacere, è suggello di momenti importanti, è simbolo di sacralità, è sinonimo di tradizione.
Tra unità e diversità, in un territorio nazionale eterogeneo e variegato, si colloca l’usanza del vino con le sue mille sfaccettature.


Verità e cultura di un prodotto che non può essere delocalizzato e che esprime a pieno l’essenza della terra, della cultura e della gente che lo ha realizzato.
Appartiene alla nostra storia da sempre: furono i greci a portarci la vite e i romani a estenderne l’uso; la bevanda assunse ruoli e sapori a seconda del luogo dove stava attecchendo.
“Enotria” ovvero”terra del vino” era il nome che i greci avevano dato alla nostra penisola.


Dai riti bacchici alla sacralità cristiana il vino è strumento mistico quanto veicolo di socialità, di accoglienza e di omaggio, senza dimenticare l’uso igienico e terapeutico di cui venne investito in epoca medievale.
Una bevanda, una tradizione, mille sapori.